ASCENSIONE del SIGNORE . domenica 2 giugno 2019

a cura di don Giuseppe

SECONDA LETTURA. Ebrei 9,24-28;10,19-23

Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza. Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.

 

In entrambi i passi che formano questo brano liturgico, Cristo è presentato nella sua funzione sacerdotale, infinitamente superiore a quella istituita nell’antica alleanza.

Nel primo brano (9,24-28), si paragona il culto celebrato nel giorno dell’Espiazione al culto offerto da Gesù. Egli non è entrato nel santuario, come una volta all’anno faceva soltanto il sommo sacerdote per espiare i peccati del popolo con il sangue delle vittime sacrificali; è penetrato addirittura nei cieli – nella trascendenza di Dio – per intercedere in eterno a favore degli uomini, dopo aver offerto una volta per tutte il sacrificio di se stesso: un’offerta il cui valore infinito può riscattare l’umanità dal peccato (vv. 24-26). Dal cielo, come recita il simbolo della fede, «verrà a giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine»: proprio per l’efficacia del suo sacrificio redentore egli potrà giudicare ogni uomo secondo verità e misericordia e donare la salvezza eterna a quanti lo attendono (vv. 27-28).

Nel secondo brano si traggono le conseguenze di queste affermazioni. In esso il mistero dell’ascensione viene considerato in rapporto ai credenti: per il sangue di Gesù, chi crede ha fiducia di entrare nel santuario del cielo, nella comunione piena con il Dio santo, poiché Cristo ha aperto la via «attraverso il velo» della sua umanità (nel culto ebraico una tenda separava il santuario dal resto del tempio). Per accedere al cielo non occorrono dunque mezzi particolari (riti complessi, pratiche ascetiche estenuanti): basta seguire Cristo, che ha detto di se stesso «Io sono la via».

Il Signore, fedele alle sue promesse, non abbandona l’uomo; da parte sua l’uomo è chiamato ad accostarsi al Padre con fede piena e sincera, con il cuore purificato, con una vita sempre memore del lavacro battesimale e delle sue esigenze (10,21-22).

Sia dunque indefettibile la speranza professata (v. 23), ed essa sospinga avanti nella carità (v. 24) fino al giorno in cui all’umanità tutta si aprirà definitivamente l’accesso al Cielo.

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