DOMENICA della PASSIONE del SIGNORE - 5 aprile

a cura di don Giuseppe

SECONDA LETTURA. Filippesi 2,6-11

Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.

 

Questo è uno stupendo inno cristologico pre-paolino. Complesso nelle singole espressioni che lo costituiscono, può essere inteso a partire dal sostantivo «tesoro geloso», in greco harpagmós (v. 6), che letteralmente significa ‘oggetto di rapina’. Quale significato può avere l’affermazione: Cristo che è di condizione (morphè) divina, non considerò l’uguaglianza con Dio un oggetto di rapina? È qui sottinteso il paragone con Adamo, colui che non essendo in tale condizione volle rubarla. Paolo offre come esempio alla comunità di Filippi il nuovo Adamo, cioè Cristo. Costui accetta di riscattare, mediante l’umiltà e l’obbedienza fino alla morte più obbrobriosa, la superba disobbedienza del primo Adamo, a causa della quale tutto il genere umano precipitò nel peccato e nella morte (cfr. Rm 5,18-19). Cristo svuotò se stesso e assunse la condizione servile, che è la nostra (v. 7), fino all’estremo limite. Al suo volontario abbassamento risponde l’azione di Dio (vv. 9- 11) che non solo «lo ha esaltato», ma ‘sovraesaltato’. Tutto l’universo ormai è chiamato a proclamare che Gesù Cristo è Kýrios, Signore, cioè Dio, e questa confessione è a gloria del Padre. 

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