DOMENICA XXXII "PER ANNUM" . 6 novembre

a cura di don Giuseppe

PRIMA LETTURA. 2Maccabei 7,1-2.9-14

Ci fu anche il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re a forza di flagelli e nerbate a cibarsi di carni suine proibite. Uno di essi, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi di indagare o sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le patrie leggi». Giunto all'ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna». Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani e disse dignitosamente: «Da Dio ho queste membra e, per le sue leggi, le disprezzo, ma da lui spero di riaverle di nuovo»; così lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza del giovinetto, che non teneva in nessun conto le torture. Fatto morire anche costui, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. Ridotto in fin di vita, egli diceva: «E' bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l'adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te la risurrezione non sarà per la vita».

 

Nella ‘sala di tortura’ del c. 7 del secondo libro dei Maccabei al posto delle grida di dolore e di sofferenza dei prigionieri viene proclamata ad alta voce la fede di Israele e, per la prima volta, la certezza della risurrezione e del premio che verrà concesso ai martiri. Il periodo storico è quello della dominazione di Antioco IV Epifane (175 – 164 a.C.), che intendeva diffondere il culto delle divinità greche anche presso la popolazione giudaica. Questo sovrano arrivò persino a introdurre all’interno della parte più sacra del tempio la statua di Zeus Olimpio (167 a. C.). Fu questa la grande sofferenza di tutti coloro che erano osservanti del culto e della legge, secondo la tradizione dei padri, ed erano invece contrari al processo di ellenizzazione che veniva portato avanti dai dominatori di turno, i Seleucidi. Ben presto il racconto costituirà un modello per i successivi atti dei martiri e farà sorgere nella popolazione un vivo senso di resistenza alla persecuzione religiosa in atto. I corpi mutilati non perdono la loro identità, anzi la mantengono chiara in tutti coloro che vengono a conoscenza di questo racconto edificante. Israele, pur dilaniato e sparso su tutta la terra, grazie all’esempio dato da questi eroi, non si confonderà in mezzo alle nazioni. Il brano che leggiamo si sofferma sulle affermazioni del secondo, terzo e quarto dei sette fratelli, che affermano la fede nella risurrezione dei corpi e per questo non temono di vedere straziate le loro membra. Il numero sette indica come il brano consideri una famiglia completa, interamente distrutta, che non ha più possibilità di restare in vita sulla terra. La figura della madre, che assiste alla morte dei figli, rimanda alla nuova vita che questi si attendono dal creatore. È forse per questo che nel brano non si fa riferimento al padre?

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