I DOMENICA di QUARESIMA . 5 marzo

a cura di don Giuseppe

PRIMA LETTURA. Genesi 2,7‐9; 3,1‐7a

Il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.

 

Il disegno di Dio e il problema del male sono, in sintesi, i temi del brano propostoci dalla liturgia. Dalla terra (adāmah), dalla materialità, Dio plasma l’uomo (’ādām), ma in esso immette il suo stesso respiro; lo circonda di bene e di bellezza (v. 9), lo colloca in un ambiente preparato con cura e gli affida un compito, una missione (v. 15); gli dona ampia libertà di determinare e trasformare le realtà circostanti attraverso il lavoro e l’autorità personale (vv. 19‐20). L’uomo però non deve stabilire da se stesso la norma del bene e del male: essa è data da Dio; né voler conoscere per esperienza il male, perché ciò lo condurrebbe alla rovina (vv. 16‐17). «Conoscenza» è per i semiti un fatto esperienziale più e prima che intellettuale o morale. Il comando di Dio è dunque per la vita e la felicità. All’uomo è proposta la scelta di una libera obbedienza nel riconoscimento del rapporto particolare che il Creatore gli offre di vivere con lui. L’albero rimane lì, al centro del giardino, custodito solo dall’avvertimento di Dio. A questo punto si insinua la presenza del male: il testo biblico ci dice che esso non è primariamente una scelta erronea, quanto piuttosto un’entità creaturale che a tale scelta induce astutamente. Il termine che designa il serpente significa anche ‘divinazione’, lasciando intravedere i culti idolatrici nei quali il simbolo del serpente aveva grande parte e che non cessavano di attrarre Israele. In effetti, il serpente riesce a far apparire menzogna il comando di Dio attraverso una sorta di falso oracolo (vv. 4‐5). Il racconto della trasgressione è un capolavoro di psicologia, una sequenza di sensazioni perfettamente studiate (v. 6) in un crescente desiderio; ma l’esito del peccato è la constatazione della propria nudità – cioè dell’essere fragili, inermi, sconfitti – che porta alla vergogna di sé e all’insostenibilità dello sguardo di Dio.

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