II DOMENICA di PASQUA . 28 aprile 2019

a cura di don Giuseppe

SECONDA LETTURA. Atti 1,9-11.12-13.17-19

Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese». Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro. Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito».

 

L’Apocalisse è per eccellenza il libro della ‘rivelazione’ di Gesù, anche se richiede da parte del lettore la paziente fatica di entrare nel suo linguaggio carico di simboli. Giovanni riceve tale rivelazione a favore dei fratelli mentre si trova confinato nell’isola di Pàtmos a motivo della fede. La profonda esperienza spirituale (v. 10) viene da lui vissuta proprio nel giorno memoriale della risurrezione del Signore. Egli ode di spalle una voce potente «come di tromba» che gli ordina di scrivere ciò che vede. Gli elementi con cui è descritta questa prima esperienza evocano la rivelazione del Sinai, compresa però nella sua pienezza solo grazie al mistero pasquale. Giovanni deve infatti voltarsi (il verbo usato è epistréphein, lo stesso termine indica la ‘conversione’ come ritorno a Dio) e proprio perché si ‘converte’ egli può vedere. Si presenta allora ai suoi occhi un misterioso personaggio «simile a figlio d’uomo» (v. 13) in mezzo a sette candelabri a sette braccia. L’unico settilabro del tempio di Gerusalemme, dunque, si è trasformato in molti candelabri a indicare che è avvenuto un passaggio dall’unico ambito di culto – ossia il tempio – alla totalità della comunità ecclesiale. In mezzo a loro vi è Cristo risorto descritto con elementi desunti dall’Antico Testamento che ne indicano la funzione messianica giunta a compimento. L’abito lungo e la fascia d’oro (v. 13) sono un distintivo sacerdotale (cfr. Dn 10,5); i capelli bianchi (v. 14a) alludono all’«Antico di giorni» di Dn 7,9. Il Figlio dell’uomo è Dio stesso. Di fronte a lui Giovanni reagisce con lo smarrimento di chi entra in contatto con Dio, ma il personaggio glorioso lo rassicura e si presenta con cinque espressioni che lo qualificano come il Risorto. Egli è infatti «il Primo e l’Ultimo», cioè il creatore e signore del cosmo e della storia (cfr. Is 44,8; 48,12); «il Vivente», cioè colui che ha la vita in se stesso, secondo una terminologia cara all’Antico Testamento. Non solo è il vivente, ma è colui che ha le chiavi (cioè il potere) sulla morte e sul mondo sotterraneo dei morti.

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