LE PALME . domenica 25 marzo

a cura di don Giuseppe

SECONDA LETTURA: Filippesi 2,6-11

Egli, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; 7ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.

 

Questo è uno stupendo inno cristologico pre-paolino. Complesso nelle singole espressioni che lo costituiscono, può essere inteso a partire dal sostantivo «tesoro geloso», in greco harpagmós (v. 6), che letteralmente significa ‘oggetto di rapina’. Quale significato può avere l’affermazione: Cristo che è di condizione (morphè) divina, non considerò l’uguaglianza con Dio un oggetto di rapina?

È qui sottinteso il paragone con Adamo, colui che non essendo in tale condizione volle rubarla. Paolo offre come esempio alla comunità di Filippi il nuovo Adamo, cioè Cristo. Costui accetta di riscattare, mediante l’umiltà e l’obbedienza fino alla morte più obbrobriosa, la superba disobbedienza del primo Adamo, a causa della quale tutto il genere umano precipitò nel peccato e nella morte (cfr. Rm 5,18-19).

Cristo svuotò se stesso e assunse la condizione servile, che è la nostra (v. 7), fino all’estremo limite. Al suo volontario abbassamento risponde l’azione di Dio (vv. 9-11) che non solo «lo ha esaltato», ma ‘sovraesaltato’. Tutto l’universo ormai è chiamato a proclamare che Gesù Cristo è Kýrios, Signore, cioè Dio, e questa confessione è a gloria del Padre.

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