SS.MA TRINITA' . domenica 27 maggio 2018

a cura di don Giuseppe

SECONDA LETTURA: Romani 8,14-17

Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!». Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

 

Il capitolo 8 della lettera ai Romani è stato paragonato al Te Deum della storia della salvezza ed i vv. 14-17 sono considerati il culmine di tutto il capitolo. Dio, datore di vita, unisce a lui vitalmente, per mezzo dello Spirito, ogni credente rendendolo suo Figlio. Per Paolo, questa novità cristiana della figliolanza-comunione con Dio sarà piena solo quando, nell’era escatologica, ogni battezzato, per opera dello Spirito, si identificherà perfettamente alla figura di Cristo risorto. Infatti, lo spirito della legge antica era uno spirito di schiavitù, mentre lo spirito di Cristo è lo spirito della libertà e di adozione, perché lo Spirito abita nel cuore dei credenti. E il frutto più bello dello Spirito è la figliolanza divina che inizia nei fedeli con il battesimo e raggiunge la maturazione completa nel cammino di fede che conduce alla terra promessa.

Allora non solo il Cristo ma tutti i credenti in lui godranno di questa pienezza. Ma il segno più manifesto di questa prerogativa cristiana è il fatto che fin d’ora i fedeli possono rivolgersi a Dio con il bel nome di «Abbà-Padre», parola aramaica e familiare che significa ‘papà’ e che mai nessun ebreo osava pronunciare. Solo lo Spirito ha ispirato ai cristiani un’espressione così audace, che manifesta la sicurezza e la gioia di tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Gesù. In ogni caso è lo Spirito che rende i credenti consapevoli di questa magnifica realtà, ma soprattutto ne è la causa. Essere figli di Dio significa possedere già un pegno per la vita eterna, significa essere «eredi» dei beni della vita di Dio e «coeredi» con Cristo, il primogenito dei risorti. Per ottenere tutto questo, però, si esige una condizione: partecipare alle sue sofferenze e completare ciò che manca alla sua passione.

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