V DOMENICA di QUARESIMA . 18 marzo

a cura di don Giuseppe

SECONDA LETTURA: Ebrei 5,7-9

Proprio per questo nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

 

Questi versetti esprimono l’essenziale dell’opera di salvezza realizzata da Cristo. Egli è presentato quale compimento non solo delle promesse, della legge e delle profezie, ma anche del culto dell’Antico Testamento. Infatti, è il solo sommo sacerdote misericordioso e fedele che può purificare realmente il popolo dal peccato, mediante l’offerta di se stesso fatta una volta per tutte (cfr. 7,26-27). Ma a questo scopo dovette assumere la nostra debolezza (v. 7: letteralmente «nei giorni della sua carne») e la nostra sofferenza (2,10) per divenire in tutto simile a noi.

Il brano offerto dalla liturgia dice realisticamente fin dove si è spinta la compassione di Cristo per la nostra condizione (v. 7) e da che cosa abbia attinto forza la sua intercessione per noi: dal pieno compimento della volontà del Padre su di lui mediante l’obbedienza. Egli dovette apprenderla secondo lo sviluppo comune ad ogni uomo, e la sofferenza fu la scuola alla quale, pur essendo perfetto come Dio (v. 8a), divenne perfetto anche come uomo (v. 9). Attraverso l’obbedienza filiale espiò la disobbedienza del peccato. Quanti scelgono di seguirlo per la medesima via ottengono quella salvezza eterna che fu accordata per la sua pietà (v. 7b) a lui e a tutti coloro per i quali fu costituito sommo sacerdote alla maniera di Melkisedek (v. 10).

Dalle cose che patì per amore è possibile riconoscere in lui il cuore nuovo, obbediente e filiale (v. 8) promesso da Dio al profeta Geremia. Guardando a Gesù, al suo cuore trafitto sulla croce, tutti possono conoscere il Signore come amore misericordioso.

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