VII DOMENICA "PER ANNUM" . 19 febbraio

a cura di don Giuseppe

PRIMA LETTURA. LEVITICO 19,1-2.17.18

Il Signore disse ancora a Mosè: “Parla a tutta la comunità degli Israeliti e ordina loro: Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo. Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d'un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore.

 

Con il c. 17, dopo una prima parte di tipo culturale, si apre nel libro del Levitico una raccolta di leggi (cc. 17-26) comunemente indicata con il nome di “Codice di santità”. All’interno di questa sezione, soprattutto nel c. 19, torna a più riprese la dichiarazione sulla base della quale Dio presenta richieste a Israele: “Io sono il Signore (vostro Dio)”. Ciò serve a dimostrare come la legge non sia un’entità a sé stante, ma presupponga la rivelazione di un Dio che ama e che libera. A questo richiamo al Dio liberatore si unisce una seconda ricorrente menzione, quella riferita al Dio santo ( cfr. 19, 2; 20, 3; 20, 26; 21, 8;22, 2;22, 32) e che partecipa a Israele la propria santità. La santità di Dio è la sua assoluta e radicale diversità, che non rimane però chiusa in se stessa, ma viene comunicata in virtù di una scelta gratuita. Per questo motivo il dono elargito impegna il popolo a una risposta, ma non gli assicura un privilegio rispetto agli altri popoli: è l’appartenere in modo esclusivo a Dio che impone a Israele di vivere conformemente alla vocazione ricevuta. Ci sono atteggiamenti inconciliabili con questa chiamata e, fra tutti, quelli dell’odio e della vendetta ricordati ai vv. 17s. mettono ancora più in risalto l’invito conclusivo– “Amerai il tu prossimo come te stesso” - che Gesù stesso citerà insieme a Dt 6, 5. La solidarietà con chi fa parte del proprio popolo, la correzione fraterna che sana alla radice ogni conflitto avranno poi un’ulteriore apertura quando, al v. 34, si farà riferimento all’immigrato verso il quale l’Israelita dovrà farsi accogliente.

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