XXIV DOMENICA "PER ANNUM" . 15 settembre

a cura di don Giuseppe

SECONDA LETTURA. 1Timoteo 1,12-17

Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù. Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

Anche questo secondo testo delle letture di oggi parla della misericordia di Dio. La misericordia è il volto più espressivo e originale di Dio. Il tratto che lo caratterizza meglio. Paolo cerca addirittura di velare la sua personalità perché possa apparire in lui più chiaramente soltanto il dono della misericordia divina. Non vuole ritenere nulla per sé che non richiami unicamente la condiscendenza senza limiti dell’amore di Dio verso l’uomo. Desidera di presentarsi solo come un puro prodotto della misericordia divina. Due volte diceva di aver trovato misericordia a ciò “a esempio avrebbero creduto in lui” (v.16). E per mettere ancor più in risalto la misericordia di Dio, Paolo si mette all’ultimo posto, tra i peccatori. Chiama se stesso “il primo dei peccatori” (v. 15) perché possa apparire in lui tutta “la sua magnanimità” (v. 16), in modo da diventare l’espressione più chiara della misericordia infinita di Dio. Paolo si sente preso da Dio; svestito, nudo, finalmente libero, per essere sommerso fino in fondo nell’oceano dell’amore. Quanto più Paolo s sottomette all’azione di Dio, tanto più di Dio lo tiene stretto a sé e non lo scioglie prima di averlo trasformato, deificato fino a che non sia divenuto lui stesso misericordia.

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