XXIV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO . 13 settembre

a cura di don Giuseppe

SECONDA LETTURA. Romani 14,7-9

Fratelli, nessuno di noi infatti vive per sé stesso, e nessuno muore per sé stesso; perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; e se moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo o che moriamo, siamo del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è tornato in vita: per essere il Signore sia dei morti sia dei viventi.

 

Paolo si trova ad affrontare una situazione molto particolare: la comunità cristiana di Roma è divisa tra cosiddetti “forti” e “deboli”. è un problema delicato: i deboli si astengono dalle carni e osservano un certo calendario; sono quindi vegetariani e osservatori di un rigido ascetismo. I forti mangiano di tutto senza problemi e non fanno distinzione tra i giorni. Questo ha fatto nascere tra le due parti un giudizio di reciproca accusa e di condanna. Paolo esorta all’accoglienza reciproca: “Accoglietevi gli uni e gli altri come Cristo accolse voi” (Rm 15,7); “Non distruggete l’opera di Dio per questioni di cibo” (14,20). E, affinché sia possibile una mutua e totale accoglienza, “ciascuno cerchi di approfondire le proprie convinzioni” (14,5), per non rivendicare pretese sugli altri, un diritto inesistente di possesso del o dei fratelli.

Paolo non fornisce la soluzione del problema – il motivo del contrasto tutto sommato resta marginale. Il punto centrale, che invece egli riafferma, è il principio universale di appartenenza a Cristo (vv. 7-9). È fondamentale che la comunità riconosca questo. Lui è infatti l’unico vero Signore, in forza alla sua morte e risurrezione. Ciascuno, pertanto, è chiamato a verificare la propria appartenenza a Cristo, l’autenticità della propria fede in lui e, rispetto a questo, l’accoglienza del proprio fratello.

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