XXV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO . 20 settembre

a cura di don Giuseppe

SECONDA LETTURA. Filippesi 1,20c - 24.27a

Fratelli, Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo. Comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo.

 

Paolo scrive la Lettera ai Filippesi dal carcere, e nelle prime battute desidera informare i suoi della situazione personale in cui si trova. È tanta la passione per il vangelo che per prima cosa, piuttosto che parlare di sé, racconta come la sua prigionia contribuisca alla diffusione del vangelo. Poi apre il cuore con confidenza ai destinatari della lettera: sarà condannato a morte o sarà assolto? Egli è convinto che in tutti e due i casi – “sia che io viva, sia che io muoia” (v. 20) – la sua persona sarà il luogo della manifestazione del Signore. E questo perché l’esistenza terrena e la morte hanno orma un nuovo senso per lui. “È Cristo la mia vita”, sembra dire: di fronte a questa certezza luminosa, la vita terrena e la morte vengono relativizzate. Nessuna delle due condizioni è di per sé migliore, se considerata a prescindere dall’unione con Cristo. Ciò che conta è lui, la comunione con lui, l’adesione alla sua volontà. Quanto al nodo e alla situazione in cui vivere tutto questo… è semplicemente da accogliere in dono. Paolo rifugge, evidentemente, da un attaccamento materialista alla terra, ma anche da un dualismo spiritualista che neghi valore all’esistenza terrena. Si pone l’interrogativo se debba preferire la morte o il continuare a vivere, e non ha dubbi sul fatto che morire significa a unirsi al Signore in una comunione definitiva, per cui sarebbe un guadagno. Tuttavia, sa anche che la sua esistenza terrena andrebbe a maggior vantaggio delle sue comunità. Trovandosi nel dubbio se desiderare il meglio per sé o ciò che è più necessario per la chiesa, Paolo sceglie la seconda ipotesi.

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