XXVII DOMENICA "PER ANNUM" . 6 ottobre

a cura di don Giuseppe

SECONDA LETTURA. 2Timoteo 1,6-8.13-14

Figlio mio, ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù. Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato.

 

Paolo, «apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio», prigioniero a Roma, indirizza al «diletto figlio Timoteo» una seconda lettera in cui lo incoraggia ed esorta a lottare strenuamente come l’Apostolo nell’esercizio del ministero a cui è stato chiamato per grazia, al fine di custodire e trasmettere fedelmente gli insegnamenti ricevuti - «il buon deposito» (v. 14) – mediante l’aiuto dello Spirito Santo, senza vergognarsi delle catene da cui Paolo è legato. Questo potrà avvenire se Timoteo «ravviva» (cioè rende attivo ed efficace) il dono che gli è stato conferito mediante l’imposizione delle mani di Paolo: gesto con cui l’apostolo lo ha reso – nello Spirito – idoneo a continuare la sua missione di annunciare a tutti la salvezza operata in Cristo Gesù. Questo avverrà solo a prezzo di sofferenza perché non si può vivere autenticamente e trasmettere la fede in Gesù Cristo morto e risorto se non si è disposti a morire come lui, a soffrire per lui, a testimoniarlo fino al sangue. Come anche oggi ci è tanto spesso ricordato, non vi è vita di fede credibile se non quella che è pronta a pagare fino al dono totale di sé, perché il giusto se vive di fede deva anche, per questa fede, saper morire.

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