XXVIII DOMENICA "PER ANNUM" . 13 ottobre

a cura di don Giuseppe

SECONDA LETTURA. 2Timoteo 2,8-13

Figlio mio, ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti, discendente di Davide, come io annuncio nel mio vangelo, per il quale soffro fino a portare le catene come un malfattore. Ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Questa parola è degna di fede: Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso.

 

L’apostolo Paolo si trova a Roma, in catene “come un malfattore” a motivo del vangelo. Egli scrive al fedele discepolo Timoteo esortandolo a perseverare nella fede a costo di qualunque sofferenza. Per far ciò, più del paragone con il buon soldato, l’atleta o l’agricoltore deve essere importante per Timoteo il ricordo di Gesù Cristo “della stirpe di Davide” che è “risuscitato dai morti” (v. 8). Il riferimento alla casa davidica dice l’appartenenza al genere umano, premessa alla sua kénosis, cioè allo svuotamento di sé. Affermare che è risorto significa esprimere la sua condizione gloriosa e la manifestazione della sua divinità. Per l’annuncio di questo mistero di salvezza, qui espresso in sintesi lapidaria, Paolo soffre senza che per questo la Parola possa essere imprigionata. Segue una probabile citazione di un antico inno cristiano in cui viene ribadito attraverso un efficace uso del parallelismo semitico che Gesù “rimane fedele” (v. 13). La nostra infedeltà, il nostro tradimento si frangono contro la fedeltà e l’amore di Cristo che mai si stanca di perdonare e di andare in cerca del peccatore (cfr. Lc 15,4-6).

Torna indietro