XXX DOMENICA "PER ANNUM" . 28 ottobre

a cura di don Giuseppe

SECONDA LETTURA: Ebrei 5,1-6

Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore, essendo anch'egli rivestito di debolezza; proprio a causa di questa anche per se stesso deve offrire sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo. Nessuno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote, ma gliela conferì colui che gli disse: Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato. Come in un altro passo dice: Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchìsedek.

 

Dopo aver presentato Cristo come sommo sacerdote misericordioso (4,14-16), l’autore della lettera agli Ebrei chiarisce ora il significato e la legittimità di tale sacerdozio nel contesto delle istituzioni giudaiche.

Il servizio sacerdotale infatti è reso a Dio da un uomo, “per gli uomini”, cioè per intercedere il perdono dei peccati mediante l’offerta di “doni e sacrifici” (v.1). Inoltre, il sommo sacerdote dev’essere misericordioso, poiché la consapevolezza della propria fragilità gli insegna una “giusta compassione” per la debolezza e la cecità spirituale – “ignoranza” ed “errore” – di chi sbaglia (vv.2s.). L’importanza di questa funzione mediatrice è tale che essa non può essere frutto di libera iniziativa personale: è invece risposta a una precisa chiamata da parte di Dio (v.4).

Dopo aver enumerato le condizioni richieste per essere sacerdoti, l’autore sacro mostra come Cristo corrisponda perfettamente a questi requisiti. Della sua reale umanità ha già parlato (4,15 e la evidenzierà ancora nei vv.7s.): Gesù ben conosce le nostre infermità essendo “stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato”. Ma proprio perché ne è libero può comprenderne tutta la gravità e offrire sé stesso per liberare noi, peccatori (9,13s.). Più difficile è dimostrare agli Ebrei la legittimità del sacerdozio di Cristo, in quanto gli egli non apparteneva alla stirpe di Aronne. Tuttavia, le Scritture attestano anche una modalità diversa di servizio sacerdotale gradito a Dio, quella attuata da Melchidesech, re di Salem. Riferendosi a questo esempio, l’autore della lettera cita il Sal 109,4 in cui il Messia promesso è dichiarato da Dio solo suo figlio, ma anche sacerdote per sempre, come lo fu il re Melchidesech. Gesù è dunque Re/Messia (‘Cristo’, in greco) e insieme sacerdote, ed esercita perciò a pieno titolo la meditazione tra Dio e gli uomini che entrambe queste funzioni implicavano. Mediatore di una nuova ed eterna alleanza (9,15), con l’offerta del proprio sangue egli può redimerci dai peccati e condurci così alla gloria, secondo il volere del Padre (2,10).

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