XXXI DOMENICA "PER ANNUM" . 5 novembre

a cura di don Giuseppe

PRIMA LETTURA. Malachia 1,14- 2,2.8-10

«Maledetto il disonesto che ha nel suo gregge un maschio, e offre in sacrificio al Signore una bestia difettosa! Poiché io sono un Re grande», dice il Signore degli eserciti, e il mio nome è tremendo fra le nazioni. «Ora, quest'ordine è per voi, o sacerdoti! Se non ascoltate e se non prendete a cuore di dare gloria al mio nome», dice il Signore degli eserciti, «io manderò su di voi la maledizione e maledirò le vostre benedizioni; anzi le ho già maledette, perché non prendete la cosa a cuore. Ma voi vi siete sviati, avete fatto inciampare molti nella legge, avete violato il patto di Levi», dice il Signore degli eserciti. «Anch'io vi renderò spregevoli e abietti agli occhi di tutto il popolo, perché non osservate i miei insegnamenti e avete dei riguardi personali quando applicate la legge». Non abbiamo forse tutti un solo padre? Non ci ha creati uno stesso Dio? Perché dunque siamo perfidi l'uno verso l'altro così che profaniamo il patto dei nostri padri?

 

La voce di Malachia si leva ferma, veemente, senza alcuna cautela diplomatica, e denuncia le responsabilità di coloro che guidano il popolo – in particolare dei sacerdoti e dei leviti – e che hanno ridotto la religione a una serie di gesti rituali, a una condotta esteriore, privandola di un’effettiva incidenza sulla vita personale e sull’esistenza sociale. La moralità, più che ricerca del bene della giustizia, è solo pratica perbenistica coperta dall’avvallo di un sacerdozio corrotto, che svilisce la realtà dell’alleanza, e che diventa motivo di maledizione più che di benedizione: è causa di inciampo e non sa guidare. Si noti che funzione fondamentale del sacerdozio era benedire e insegnare (cfr. Nm 6,22-27; Ne 8,7-8); questa funzione è però compatibile solo con una seria vita morale dei sacerdoti, una vita che proceda sull’esempio di quella dei loro illustri predecessori, e non secondo indegni desideri personali. Ora la loro condotta sfalda la comunità, invece di essere segno del fatto che tutta la comunità ha un solo padre, ha un solo Dio ed è una comunità fraterna. Essi fanno della comunità un luogo di riti vuoti, incapaci di incidere realmente sulle relazioni sociali, di creare comunione e relazione fraterna. Certamente il brano è provocante in particolare per i sacerdoti, che vengono richiamati all’alleanza che Dio ha stipulato con loro e che essi hanno trasgredito (v. 8) venendo meno alla loro vocazione, alle esigenze del loro servizio. Anche il potere ricevuto è stato esercitato con parzialità e favoritismi personali, che stridono con l’eguaglianza e fraternità che YHWH vuole regni nel popolo perché egli lo ha liberato, rivelando così il suo volto di Padre per Israele (2,10). È questa azione salvifica la ‘creazione’ a cui si riferisce qui; essa è il fondamento del progetto sociale di Israele, al quale deve mirare il ministero dei leviti.

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