Pregare la Parola

III DOMENICA di AVVENTO -15 dicembre 2024

Luca 3, 10-18

"Che cosa dobbiamo fare?"

 

L’orgoglio di essere meglio degli altri spesso rende stupidamente arroganti, quindi antipatici. L’umiltà di sentirsi peccatori rende semplici ed accettabili anche al cuore di Dio. Essere peccatori vuol dire essere fragili; ma essere superbi vuol dire trovarsi fuori dalla verità. Ed è la verità l’habitat naturale dove crescono i figli di Dio; è la verità che ci rende veri uomini e vere donne fuori da castelli fantasiosi e da culture fasulle e irreali. Il figlio, forse innervosito, risponde al padre con un secco rifiuto; poi, ci ripensa ed ubbidisce. Il figlio diplomatico, e forse falso, si inchina subito al volere del padre e, poi, non fa nulla. L’amore vero è fatto di azione ed è autentico anche dopo ripensamenti o reazioni illogiche ed infantili e, quindi, emotive.

Il brano evangelico è facilmente divisibile in due parti. Nella prima, i versetti 10-14, è riferito il dialogo tra il Battista e la folla che – ascoltato il suo invito alla conversione – gli chiede che cosa fare in concreto. Domanda che risuonerà anche agli inizi della predicazione apostolica: alla testimonianza di Pietro, scrive sempre Luca in At 2,37, la gente rispondeva: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». È una delle questioni fondamentali dell’uomo che conosce Dio, e che implica la ricerca della salvezza. Così, ad es., la domanda del giovane ricco a Gesù: «Maestro buono, cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?» (Lc 18,18). Il dialogo di Giovanni con la folla non ci viene tramandato dagli altri vangeli; si ha l’impressione che Luca abbia organizzato il discorso seguendo uno schema che poi verrà ripreso nella catechesi battesimale cristiana e che è composto dalla puntualizzazione che la conversione è una cosa seria (vv. 7-9), che deve essere concretizzata non solo nel momento sacramentale del battesimo, ma nella vita quotidiana (vv. 10-14). Il richiamo alla vita ordinaria è interessante: il Battista non impone cose straordinarie, ma l’esercizio della carità e la rettitudine nel compimento del proprio dovere: impegno nelle vicende reali della propria professione. Abbiamo un quadro che concorda con il ritratto che lo storico Giuseppe Flavio ci fornisce del Battista: «Era Giovanni un uomo retto, il quale invitava i Giudei a praticare la virtù, la reciproca giustizia e la pietà verso Dio, e quindi ad accostarsi al battesimo» (Ant. 18, 117). Nella seconda parte del brano il popolo si interroga sul Battista: è lui il Messia? E «Giovanni rispose a tutti dicendo…» (v. 16). Il Battista così facendo ci fornisce l’identikit di colui che doveva essere il Cristo d’Israele, o almeno quello che Giovanni aspettava. La risposta è composta da quattro definizioni: il Messia è uno più forte di lui; è l’unico degno di essere servito; diversamente da Giovanni battezzerà con Spirito Santo e fuoco; opererà un giudizio imminente. Chi è il Messia? È anzitutto uno più forte. L’aggettivo ischyros evoca tanti passi biblici, in particolare il libro dell’Apocalisse e le due lettere di Paolo alla comunità di Corinto. Il nostro termine ha un campo semantico che lo pone in stretta relazione con il sacro: Dio soltanto è il Forte in senso proprio (Balz-Schneider). È scritto ad es. in Ap 18,8: «Forte è il Signore Dio». E dice Paolo in 1Cor 10,22: «Vogliamo provocare la gelosia del Signore? Siamo forse più forti di lui?».

Riconoscere Dio come il più forte, soprattutto nel nostro tempo, è segno di una benedetta debolezza, che contrasta col pensiero comune. Si legge nella 2Cor 12,10: «Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte». Sembra che la nostra identità si chiarisca rispetto ad un Altro più forte di noi. L’antitesi forza-di-Dio debolezza-dell’uomo è forse la più profonda dinamica relazionale presente nella Bibbia: chi vuole vincere con Dio deve “arrendersi” davanti a lui, alla sua santa volontà, riconoscendosi creatura. Come Giacobbe, il quale lotta con l’angelo (= Dio) e, pur vincendo contro di Lui («Hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto»; Gen 32,29), ne esce sconfitto e con il segno delle ferite («Giacobbe passò Penuel e zoppicava all’anca»; Gen 32,32). «Sì che Tu sei terribile!», scriveva il Manzoni nel Natale del 1833, ancora scosso per la morte della moglie. «Onnipotente!», chiude l’inno, dopo aver finalmente accolto con fede la sua volontà: «il voler nostro interroghi, /e a tuo voler decidi». La superiorità del Messia, rispetto al Battista, si mostra nel fatto che Giovanni riconosce di doverlo servire, come lo schiavo che scioglie i lacci dei sandali del suo padrone; un servizio, questo, che solo a Dio è dovuto. Si potrebbe commentare applicando a riguardo il lucido principio della 1Pt 2,17, dove si distinguono gli atteggiamenti che il cristiano deve tenere nella società: «Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re». Al re lo stesso onore; un amore per i fratelli (nella fede); solo di Dio si può essere servi. Da queste osservazioni non possiamo però congedarci, se non mettendo in rilievo la profonda novità di Gesù rispetto all’identikit che il Battista si era fatto del Messia. La forza del Signore Gesù si manifesterà non solo nella sua capacità di scacciare i demoni o compiere grandi segni, quanto piuttosto nella debolezza della sua passione e morte. Dopo la croce, sarà il Padre a mostrare la forza nel sollevare il suo Figlio aprendogli la tomba.

Per il Battista il “veniente”, “colui che deve venire”, è superiore anche in relazione al battesimo dello Spirito o battesimo di fuoco, che l’Unto solo potrà dare: «all’uomo si aprono due possibilità: un giudizio di salvezza, con riferimento allo Spirito che Dio verserà nel cuore per rinnovarlo dal di dentro; un giudizio di condanna, mediante il fuoco devastatore» (Rossé). Anche in questo, però, Giovanni vedrà le cose solo parzialmente: il Messia di Israele annuncerà la misericordia e il perdono ai peccatori, e per questo varrà la pena ascoltare gli inviti alla conversione che ci vengono dalle splendide letture dell’Avvento.

Il punto

RIMETTENDO LO ZAINO SULLE SPALLE...

Carissimi Borghettani e Abatini,

è la grazia del Signore a dare pienezza ad ogni nostro istante.

È per questo che ogni cristiano, nei suoi gesti e parole, è chiamato a portare “Lui”… 

 

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LA NOSTRA SIA UNA SINCERA E AUTENTICA PREGHIERA

Carissime sorelle e carissimi fratelli in Cristo,

l’apostolo Paolo ha scritto: «Noi non sappiamo che cosa sia conveniente domandare» (Rm 8, 26).

Forse, nel frangente storico che stiamo vivendo, possiamo...

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20 ANNI di CAMMINO INSIEME

2002 - 13 ottobre - 2022
 
Non è una data che si imprime nella memoria ma è lo stesso una data importante per Abbazia e Borghetto.

Il 13 ottobre 2002 fece il suo ingresso come parroco don Lino Bertollo...

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& Avvisi

Sospensione ricevimenti sacerdoti e confessioni

  • Il parroco don Livio, don Luca e don Oscar, sospendono i ricevimenti nelle parrocchie di San Martino di Lupari, Abbazia Pisani e Borghetto, per il periodo natalizio.
  • Le confessioni a San Martino di Lupari del giovedì mattina sono sospese fino al 30 gennaio; quelle del sabato pomeriggio riprendono dal 11 gennaio.

Nomina del parroco

Il Vescovo Michele ha nominato il nuovo parroco delle parrocchie di Abbazia e Borghetto:

Mons. Livio Buso, parroco della parrocchia S. Martino vescovo in San Martino di Lupari, è stato nominato anche parroco delle parrocchie di S. Eufemia vergine e martire in Abbazia Pisani di Villa del Conte e S. Giovanni Bosco in Borghetto di San Martino di Lupari.

Don Luca Biasini e don Oscar Pastro, vicari parrocchiali della parrocchia S. Martino vescovo in San Martino di Lupari, sono stati nominati anche vicari parrocchiali delle parrocchie di S. Eufemia vergine e martire in Abbazia Pisani di Villa del Conte e S. Giovanni Bosco in Borghetto di San Martino di Lupari; e collaboratori pastorali per la pastorale giovanile nella Collaborazione pastorale dell’Alta Padovana.